Critica

In occasione della Mostra della pittrice Licia Bertin

Mirano, 28.11.2009


Stiamo seguendo da ormai qualche anno il notevole percorso artistico e culturale della pittrice Licia Bertin, itinerario che ripercorre, non esitiamo ad affermarlo, i passi storici della grande pittura del Novecento nel suo divenire sempre più complesso e consapevole.
Per uno di quei frequenti ma apparenti paradossi nel campo dell’Arte, la Bertin, pur sempre fedele a se stessa (e non potrebbe essere diversamente poiché la sua pittura nasce essenzialmente dal profondo del suo Io cosciente!) mostra tuttavia ogni volta una diversità anche evidente nei valori estetici della forma e soprattutto del contenuto. Sempre uguale e sempre diversa dunque! Da qui il nostro interesse immutato a confrontarci con le tematiche che ci chiama di volta in volta a giudicare.
L’invenzione del mondo di Licia Bertin si è dunque ulteriormente evoluta facendosi più matura, assistita da una padronanza del mezzo tecnico di ormai altissimo livello nel disegno, nel colore e nel suo impiego sapiente per descrivere atmosfere e per richiamare sensazioni filtrate dalla sua ispirazione. Abbiamo sempre confermato, come appare evidente, che questa pittura ci risucchia in un mondo crepuscolare di colori freddi e immobili, con le stigmate del sogno proveniente dall’Io profondo della pittrice. E’ l’invenzione di un sogno che affiora per noi dalla sua mente (e molto spesso anche dal suo cuore).
Quando ebbi ad apprezzarla, nel 2004, la definizione che diedi della sua opera rientrava in quella del simbolismo, a cavallo tra un realismo magico e uno fantastico di sua specifica “invenzione”. Citando la letteratura simbolista classica scrissi infatti che: “…vi era un conflitto tra pensiero e istinto, tra materia e spirito, che si placa in un segno pittorico immateriale steso come se il pensiero sostituisse la materia”.
Era questa una pittura magica o fantastica, onirica o evocativa ma pur sempre classificabile come “reale”.
Ma ora la Bertin sta puntando, come accennavo, ad altri traguardi ancora più ambiziosi e questo sia detto senza sminuire ovviamente la sua produzione precedente: le opere recenti sono infatti di chiara impronta “surrealista” e cioè rappresentano a mio giudizio una vera e propria “pittura d’azione” (André Breton, 1924 e 1929), punto centrale della teoria surrealista vale a dire una pittura che vive sul rapporto tra inconscio e gesto creativo. Ecco quindi scaturire un altro concetto chiave, quello de “l’automatismo psichico” che corrisponde allo stato del sogno dilatando ulteriormente il tempo e lo spazio. Siamo quindi di fronte a una sintesi “surreale” di aspetti e oggetti della vita di tutti i giorni; al prevalere de “l’inconscio creatore” su qualsiasi altra considerazione volontariamente estetica sia nella forma che nel contenuto. La realtà tende a sfumare e spesso non è più riconoscibile.
Anche se è sempre estremamente difficile una predizione in un artista di questo calibro che nutre in primo luogo l’esigenza di esprimere se stesso, potremmo azzardare un’ipotesi, secondo quanto è già avvenuto nella Storia della Pittura. Alcuni dei pittori surrealisti (primo fra tutti Kandinsky!) colsero le grandi possibilità consequenziali del surrealismo e “l’automatismo psichico” creò la pittura che noi con un termine semplicistico chiamiamo “astratta”. Sarà in futuro Licia Bertin una esploratrice di questa possibilità?
Una cosa è certa. Se è vero, come ha scritto Rudolf Arnheim, che anche il fruitore dell’opera d’arte compie con la visione un atto creativo, allora a me pare che Licia Bertin costringa tutti noi a uno sforzo di comprensione destinato ad arricchire la nostra personalità interiore. Di questo noi la ringraziamo.

Prof. Marino Massarotti



A chi non è capitato di interpretare i “volti” delle nuvole, le
“immagini “ che producono al buio alberi e montagne?
Licia Bertin è partita così ( 1998 ) come artista, trasferendo su tela,
con i suoi colori ad olio, le sue visioni di una realtà percepita,
sognata, simbolica.
Solo nel 2002, le sue mostre con rappresentazioni di antichi
manieri e armature, cavalli e nature magiche, è riuscita a
trasferire le sue angosce, i suoi sogni, le sue visioni come se
in una vita precedente avesse vissuto quell'epoca.
Ma un artista evolve, muta, come gli eventi della storia,
ed ecco che cambiano i materiali (tempera) e i suoi sogni
(oggetti e persone di tutti i gioni), ma ancora una volta
dipinti in una maniera surreale, tanto da rendere la realtà
non più riconoscibile.
Cosa aspettarci oggi da questa artista?
Fermiamoci un momento ad osservare il cielo ed a
rabbrividire dentro il bosco ed ecco apparire una nuova
Licia, nuovi materiali (acrilico, medium diversi) e nuove
emozioni che arrivano dal cielo, dal mare, dalla terra,
come fotografie dove il fotografo usa filtri e sovrapposizioni
per lasciare a noi che guardiamo le sue opere, la possibilità
di emozionarci come se partecipassimo alla loro creazione !

Flavio Collini